INTRODUZIONE GENERALE
1. Aspetti del vissuto morale contemporaneo
Il vissuto morale dell’uomo contemporaneo è caratterizzato dal venir meno di criteri morali condivisi.
L’assenza di valori morali condivisi crea il vuoto di coscienza, questa, cioè, nei momenti decisivi della vita, non funge più da orientamento.
Il vuoto di coscienza si avverte maggiormente quanto le regole del vivere sociale non coincidono più con i valori personali.
La vita sociale viene percepita dal soggetto agente come:
- luogo di conflitto tra istanze morali contrapposte,
- spazio di vita indifferente dal punto di vista morale.
1. Nel primo caso il soggetto agente esperisce il ruolo sociale come un compromesso rispetto alle sue convinzioni morali.
2. Nel secondo caso il conflitto viene superato separando la coscienza soggettiva da quella sociale, sottraendo i comportamenti pubblici dalla rilevanza morale.
In ambedue i casi il soggetto agente, anziché realizzare se stesso, attraverso il lavoro, la professione, l’impegno civile, si sente disgregato in molti comportamenti insignificanti.
In un contesto di doppia morale, privata e pubblica, il soggettivismo morale, tipico del nostro tempo, non è rifiuto o indifferenza dei valori assoluti, ma un modo di affermare la propria personalità in un contesto di complessità.
Il soggettivismo imperante sostiene che il vissuto morale va fondato sui due seguenti criteri guida:
- la scelta personale,
- la coerenza con se stessi.
Con l’espressione «scelta personale» si intende che la decisione assunta non ha altro fondamento che le motivazioni soggettive.
Con «coerenza con se stessi» si intende che tra le scelte e l’azione deve esserci coerenza. E’ necessario, cioè, essere coerenti con le proprie scelte.
Nella concezione morale attuale il vissuto morale si risolve nella soggettività, abdicando ad ogni fondamento universale.
Questa concezione morale è caratterizzata:
- dalla esaltazione della soggettività,
- dalla caduta della responsabilità morale, sociale e personale.
In altre parole: la soggettività porta a ritenere criterio sufficiente di scelte morali, non ciò che è giusto in sé, ma ciò che è conveniente, utile e funzionale al soggetto (utilitarismo).
2. Dalle regole di condotta al significato umano dell’agire
Il vissuto morale odierno non è, però, caratterizzato dal solo soggettivismo: anzi si sente sempre più il bisogno di riferimenti morali assoluti, che diano senso all’agire personale, sociale e al futuro dell’umanità.
Esigenza questa avvertita sia dai cristiani che dai cosiddetti "laici"[1], tanto che da più parti si auspica un "ritorno alla morale".
Questa voglia di morale nel contesto italiano viene definita "questione morale".
Essa è accompagnata da due esigenze:
- maggiore onestà e trasparenza nell’amministrazione pubblica;
- esigenza di distinguere legalmente ciò che è lecito, da ciò che non lo è.
Da questa ricerca scaturisce una forte ambiguità sul significato della questione morale. Vanno segnalate due correnti tra loro in conflitto:
- si sente la necessità di creare nuove norme di comportamento,
- non si sente il bisogno di creare il fondamento della loro obbligatorietà.
Ci si chiede:
- quali sono le ragioni per cui un soggetto dovrebbe osservare determinate norme?
- chi e che cosa rende una norma vincolante?
Risposta:
- un’autorità morale,
- un gruppo di esperti,
- la forza coercitiva dello Stato.
Se a rendere vincolante una norma è la forza coercitiva dello Stato, ne segue che questione morale equivale a questione legale.
Il soggetto si sottomette o obbedisce alla norma, non perché è convinto in coscienza del valore della norma, ma perché c’è un esplicito comando dell’autorità che ha il potere di perseguire penalmente il soggetto.
La prima ambiguità, connessa al modo di porre la questione morale, consiste nel "far coincidere la morale con la norma o legge.
La questione morale ordinariamente fa riferimento ai comportamenti pubblici, luogo di intervento dello Stato. Questi comportamenti hanno come fondamento una convenzione, un accordo tra:
- diverse espressioni culturali,
- parlamentari democraticamente eletti,
- comitati etici.
In questi casi si deve parlare di legalità e non di morale. Oggi si tende a far coincidere la legalità con l’etica pubblica.
La seconda ambiguità, legata alla questione morale, concerne la domanda etica la quale non si esaurisce nella domanda: che cosa mi è permesso fare? Ma va oltre.
Le domande: perché devo fare ciò? Perché non è lecito fare ciò? Chiamano in causa: il soggetto agente e il senso della libertà.
Il soggetto agente è chiamato sempre a motivare la sua libera scelta, dandole un significato, non uno qualunque, ma quello che dà senso alla totalità della sua esperienza umana.
Solo così l’agire dell’uomo è espressione della verità del suo essere.
Esiste, infatti, un intrinseco rapporto tra libertà e verità dell’uomo. La consapevolezza di questo rapporto porta l’agire umano ad uscire dalla convenzionalità per riconoscersi come agire morale, vale a dire come libertà in risposta alla verità.
La ricerca della liceità o dell’illiceità del comportamento pubblico trascura il vero senso del problema morale e cioè:
- il vero senso del vivere,
- la verità piena dell’uomo,
- il fondamento del bene e del male.
La vera questione morale non può limitarsi a stabilire solo l’autenticità della condotta pubblica, anche se ciò è importante per normare la convivenza sociale.
Essa deve definire la questione di senso dell’agire dell’uomo, considerato come realtà personale, sociale e cosmica.
La domanda di senso, poi, delle singole azioni riguarda, soprattutto, la domanda sulla verità totale dell’uomo, ma anche la questione antropologica, cioè il senso vero dell’uomo.
3. Esiste la morale laica?
Se la giusta prospettiva del problema morale è la ricerca della verità dell’uomo, ne segue una legittima domanda: può esistere una morale laica, fondata, cioè, su valori puramente umani?
Problematica molto sentita nel nostro mondo pluralista!
Molti, pur dichiarandosi non credenti, si comportano in modo retto, dimostrando una forte sensibilità nei confronti dei valori morali.
Questi sostengono che una morale solo umana è legittima e autentica.
Un’autentica morale laica deve fondarsi su:
- valori umani,
- fondamentali diritti.
Sua caratteristica è il non porre in modo esplicito la domanda: perché questi valori e questi diritti valgono universalmente?
Essa opta per l’uomo quale fondamento dell’agire morale.
La fede laica nell’uomo garantisce alla morale laica, da un punto di vista teorico e formale, un esplicito riferimento all’insieme dei valori umani, ma è anche il principio della sua debolezza.
Il non riferimento al trascendente e al religioso, quale metro di valutazione dell’agire, diviene di fatto relativismo e arbitrio, e di conseguenza diviene laicismo.
Il laicismo è una ideologia che rifiuta in modo pregiudiziale il fondamento universale e assoluto della morale, per salvaguardare la piena autonomia del soggetto agente.
Le verità del laicismo sono contingenti e provvisorie.
La regola indiscussa è la mutabilità.
L’etica laica è l’etica della situazione fondata sui criteri dell’utilitarismo, del pragmatismo, dell’emotivismo.
Essa, in definitiva, finisce per assimilarsi alla legalità sancita dallo stato democratico, sulla volontà della maggioranza, sull’opinione manipolatrice e imposta dei mass media.
La morale laica, nonostante la voglia di progresso, è fondamentalmente conservatrice e fa riferimento al modello socio-economico dominante.
[1] Il termine "laico" nell’uso culturale corrente significa non religioso, non ideologico. Il suo opposto è confessionale.
1. Aspetti del vissuto morale contemporaneo
Il vissuto morale dell’uomo contemporaneo è caratterizzato dal venir meno di criteri morali condivisi.
L’assenza di valori morali condivisi crea il vuoto di coscienza, questa, cioè, nei momenti decisivi della vita, non funge più da orientamento.
Il vuoto di coscienza si avverte maggiormente quanto le regole del vivere sociale non coincidono più con i valori personali.
La vita sociale viene percepita dal soggetto agente come:
- luogo di conflitto tra istanze morali contrapposte,
- spazio di vita indifferente dal punto di vista morale.
1. Nel primo caso il soggetto agente esperisce il ruolo sociale come un compromesso rispetto alle sue convinzioni morali.
2. Nel secondo caso il conflitto viene superato separando la coscienza soggettiva da quella sociale, sottraendo i comportamenti pubblici dalla rilevanza morale.
In ambedue i casi il soggetto agente, anziché realizzare se stesso, attraverso il lavoro, la professione, l’impegno civile, si sente disgregato in molti comportamenti insignificanti.
In un contesto di doppia morale, privata e pubblica, il soggettivismo morale, tipico del nostro tempo, non è rifiuto o indifferenza dei valori assoluti, ma un modo di affermare la propria personalità in un contesto di complessità.
Il soggettivismo imperante sostiene che il vissuto morale va fondato sui due seguenti criteri guida:
- la scelta personale,
- la coerenza con se stessi.
Con l’espressione «scelta personale» si intende che la decisione assunta non ha altro fondamento che le motivazioni soggettive.
Con «coerenza con se stessi» si intende che tra le scelte e l’azione deve esserci coerenza. E’ necessario, cioè, essere coerenti con le proprie scelte.
Nella concezione morale attuale il vissuto morale si risolve nella soggettività, abdicando ad ogni fondamento universale.
Questa concezione morale è caratterizzata:
- dalla esaltazione della soggettività,
- dalla caduta della responsabilità morale, sociale e personale.
In altre parole: la soggettività porta a ritenere criterio sufficiente di scelte morali, non ciò che è giusto in sé, ma ciò che è conveniente, utile e funzionale al soggetto (utilitarismo).
2. Dalle regole di condotta al significato umano dell’agire
Il vissuto morale odierno non è, però, caratterizzato dal solo soggettivismo: anzi si sente sempre più il bisogno di riferimenti morali assoluti, che diano senso all’agire personale, sociale e al futuro dell’umanità.
Esigenza questa avvertita sia dai cristiani che dai cosiddetti "laici"[1], tanto che da più parti si auspica un "ritorno alla morale".
Questa voglia di morale nel contesto italiano viene definita "questione morale".
Essa è accompagnata da due esigenze:
- maggiore onestà e trasparenza nell’amministrazione pubblica;
- esigenza di distinguere legalmente ciò che è lecito, da ciò che non lo è.
Da questa ricerca scaturisce una forte ambiguità sul significato della questione morale. Vanno segnalate due correnti tra loro in conflitto:
- si sente la necessità di creare nuove norme di comportamento,
- non si sente il bisogno di creare il fondamento della loro obbligatorietà.
Ci si chiede:
- quali sono le ragioni per cui un soggetto dovrebbe osservare determinate norme?
- chi e che cosa rende una norma vincolante?
Risposta:
- un’autorità morale,
- un gruppo di esperti,
- la forza coercitiva dello Stato.
Se a rendere vincolante una norma è la forza coercitiva dello Stato, ne segue che questione morale equivale a questione legale.
Il soggetto si sottomette o obbedisce alla norma, non perché è convinto in coscienza del valore della norma, ma perché c’è un esplicito comando dell’autorità che ha il potere di perseguire penalmente il soggetto.
La prima ambiguità, connessa al modo di porre la questione morale, consiste nel "far coincidere la morale con la norma o legge.
La questione morale ordinariamente fa riferimento ai comportamenti pubblici, luogo di intervento dello Stato. Questi comportamenti hanno come fondamento una convenzione, un accordo tra:
- diverse espressioni culturali,
- parlamentari democraticamente eletti,
- comitati etici.
In questi casi si deve parlare di legalità e non di morale. Oggi si tende a far coincidere la legalità con l’etica pubblica.
La seconda ambiguità, legata alla questione morale, concerne la domanda etica la quale non si esaurisce nella domanda: che cosa mi è permesso fare? Ma va oltre.
Le domande: perché devo fare ciò? Perché non è lecito fare ciò? Chiamano in causa: il soggetto agente e il senso della libertà.
Il soggetto agente è chiamato sempre a motivare la sua libera scelta, dandole un significato, non uno qualunque, ma quello che dà senso alla totalità della sua esperienza umana.
Solo così l’agire dell’uomo è espressione della verità del suo essere.
Esiste, infatti, un intrinseco rapporto tra libertà e verità dell’uomo. La consapevolezza di questo rapporto porta l’agire umano ad uscire dalla convenzionalità per riconoscersi come agire morale, vale a dire come libertà in risposta alla verità.
La ricerca della liceità o dell’illiceità del comportamento pubblico trascura il vero senso del problema morale e cioè:
- il vero senso del vivere,
- la verità piena dell’uomo,
- il fondamento del bene e del male.
La vera questione morale non può limitarsi a stabilire solo l’autenticità della condotta pubblica, anche se ciò è importante per normare la convivenza sociale.
Essa deve definire la questione di senso dell’agire dell’uomo, considerato come realtà personale, sociale e cosmica.
La domanda di senso, poi, delle singole azioni riguarda, soprattutto, la domanda sulla verità totale dell’uomo, ma anche la questione antropologica, cioè il senso vero dell’uomo.
3. Esiste la morale laica?
Se la giusta prospettiva del problema morale è la ricerca della verità dell’uomo, ne segue una legittima domanda: può esistere una morale laica, fondata, cioè, su valori puramente umani?
Problematica molto sentita nel nostro mondo pluralista!
Molti, pur dichiarandosi non credenti, si comportano in modo retto, dimostrando una forte sensibilità nei confronti dei valori morali.
Questi sostengono che una morale solo umana è legittima e autentica.
Un’autentica morale laica deve fondarsi su:
- valori umani,
- fondamentali diritti.
Sua caratteristica è il non porre in modo esplicito la domanda: perché questi valori e questi diritti valgono universalmente?
Essa opta per l’uomo quale fondamento dell’agire morale.
La fede laica nell’uomo garantisce alla morale laica, da un punto di vista teorico e formale, un esplicito riferimento all’insieme dei valori umani, ma è anche il principio della sua debolezza.
Il non riferimento al trascendente e al religioso, quale metro di valutazione dell’agire, diviene di fatto relativismo e arbitrio, e di conseguenza diviene laicismo.
Il laicismo è una ideologia che rifiuta in modo pregiudiziale il fondamento universale e assoluto della morale, per salvaguardare la piena autonomia del soggetto agente.
Le verità del laicismo sono contingenti e provvisorie.
La regola indiscussa è la mutabilità.
L’etica laica è l’etica della situazione fondata sui criteri dell’utilitarismo, del pragmatismo, dell’emotivismo.
Essa, in definitiva, finisce per assimilarsi alla legalità sancita dallo stato democratico, sulla volontà della maggioranza, sull’opinione manipolatrice e imposta dei mass media.
La morale laica, nonostante la voglia di progresso, è fondamentalmente conservatrice e fa riferimento al modello socio-economico dominante.
[1] Il termine "laico" nell’uso culturale corrente significa non religioso, non ideologico. Il suo opposto è confessionale.
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